martedì 25 dicembre 2007

definizione di natale

natale:Inutile celebrazione in cui ci si ubriaca ci si abbuffa si scambiano regali riciclati,ma soprattutto s sta cn la famiglia(nucleo di persone ke si odiano + persone viste due o max 3 volte in tutta la tua vita!!!)mmm...bello!!!voglio ancora natale...wow

venerdì 12 ottobre 2007

piero ricca

Ieri sera in tv il sottosegretario alla giustizia Scotti, ex magistrato e persona perbene, ha assicurato che il provvedimento disciplinare contro il sostituto procuratore di Catanzaro Luigi De Magistris, impegnato in inchieste scomode e comunque sottoposte alle verifiche procedurali, è stato chiesto per gravi e fondati motivi. Il Consiglio Superiore della Magistratura sarà chiamato presto a esaminarli e potremo farcene, questo almeno è l’auspicio, un’opinione più precisa. Ma occorre vigilare. Ed è giusto non lasciare solo questo magistrato. Contesto e precedenti inducono a sospettare che la sua vera colpa sia aver disturbato il manovratore.Pubblico la lettera di Michele.
Caro Piero,
già sai benissimo che lo Stato Italiano, nella persona del Ministro di Casta e Giustizia, Clemende Mastella ha chiesto al Consiglio Superiore della Magistratura il trasferimento del Sostituto Procuratore di Catanzaro Luigi De Magistris. C’è, come in ogni storia, una motivazione reale e un pretesto. La motivazione reale è che ha iscritto nel registro degli indagati Mastella (per gli amici Pastella), e Romano Prodi, per qualche losca vicenda di commistione tra affari e politica. Il pretesto, una grave e reiterata inadempienza procedurale: non aveva messo le virgole al posto giusto sul testo di alcuni atti processuali. Rimando alla visione dell’ottima puntata della trasmissione Annozero di Michele Santoro del 4/10/2007, disponibile sul sito, per saperne di più.In realtà, la cosa che più stupisce non è questo modo di comportarsi della nostra politica, in fondo le pressioni e i trasferimenti di funzionari corretti costituiscono una prassi nel nostro Paese. Tutt’altro che abituale è vedere tanti giovani meridionali che si stringono intorno ad un magistrato che fa il proprio dovere. E’ stato commovente; un chiaro segnale che qualcosa nelle nostre teste sta cambiando.Il Sud vuole e deve tornare a sperare. Per farlo ha bisogno di uno Stato presente sul territorio, e il trasferimento di un magistrato per il fatto che indaghi su fondi europei scomparsi e società di malaffare è un pessimo segnale. Un segno che lo Stato vuole solo tutelare i suoi peggiori funzionari mantenendo in tal modo il Mezzogiorno nel suo degrado istituzionale. L’otto ottobre, quando il CSM si pronuncerà sul trasferimento di De Magistris, dovremmo tutti stringerci intorno a lui. Io darò un volantino con la sua storia all’Università, affinché la gente sappia quali sono le pressioni che un magistrato è costretto a subire in questo paese quando viola, con le sue indagini, il santuario della casta. Massima solidarietà all’uomo e al magistrato Luigi De Magistris.Firmate l’appello per Luigi De Magistris.
Saluti, Michele Di Mauro
Dai più diversi pulpiti si susseguono dichiarazioni favorevoli a una “grande riforma” della Costituzione. Esse contribuiscono a trasformare in senso comune questa discutibile opinione: il Paese è bloccato, spezzato, esige da troppi anni una riforma della Costituzione che lo renda governabile, efficiente e moderno. Non sono d’accordo e mi sento in diritto-dovere di dirlo dopo aver dato l’anima per far vincere il NO alla sciagurata riforma Bossi-Fini-Berlusconi. Propongo di ribadire fino a trasformare in patrimonio condiviso delle persone ragionevoli questi semplici concetti:
- Il 25 giugno 2006 la gran maggioranza dei votanti ha confermato fiducia alla vigente Costituzione, dicendo NO alla “devolution”, al “premierato forte” e al resto. Occorre rispettare questa decisione.- Prima di essere cambiata, la Costituzione italiana merita di essere difesa, rispettata e attuata. per esempio con riguardo allo status dei partiti (art. 49).- Le priorità dell’Italia sono di ordine morale e politico, non costituzionale.- Può essere necessario provvedere a qualche aggiornamento della Carta, ma in punti specifici, con ampio dibattito nella società e attraverso le procedure ordinarie, previste dall’articolo 138 della Costituzione medesima.- Viceversa non ci sono le condizioni, né storiche né politiche, per metter mano a una “grande riforma delle regole” attraverso apposite commissioni parlamentari o addirittura assemblee costituenti.- Il rischio di nuovi inciuci è dietro l’angolo. Meglio non concedere nuove occasioni ai barattieri.

sabato 21 luglio 2007

due eroi inconsciamente...falcone e borsellino

Un binomio inscindibile (di Francesco La Licata)
Falcone e Borsellino: due nomi, un solo luogo del nostro immaginario collettivo, a testimonianza di una tragedia che ha colpito tutti, un intero popolo. E' difficile scindere questo binomio, impossibile parlare di Giovanni, senza immediatamente ricordare Paolo. Nella nostra mente si è insediato un automatismo che sarà difficile rimuovere. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano uniti in vita, legati da un “mestiere” che per loro era missione: liberare la società civile dall'oppressione di una “mala pianta”- la mafia - che nasce, vive e prospera nello stesso umore nutritivo prodotto dalla Sicilia. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono ora inscindibili nella nostra memoria. Come accade per quanti diventano simbolo contro la loro stessa volontà, eroi soltanto per aver voluto esercitare il diritto di affermare le proprie idee, per aver rifiutato la via facile dell'accomodamento e del quieto vivere. La loro fine, orribile e tragica, li ha fusi insieme. Così che oggi, quasi naturalmente, il viaggiatore che si avvicini alla Sicilia sentirà i loro nomi prima ancora di mettere piede nell'Isola. Al momento dell'atterraggio sarà la voce del comandante ad informare che “tra pochi minuti atterreremo all'aeroporto Falcone - Borsellino”. I siciliani, i siciliani onesti amano quei magistrati caduti a meno di due mesi l'uno dall'altro. I mafiosi li rispettano, come li temevano quando erano vivi. (...)I colpi subiti dai collaboratori di giustizia, i pentiti. “Invenzione” di Giovanni Falcone, quando nessuno osava soltanto pensare alla eventualità che uno strumento rivelatosi essenziale contro il terrorismo potesse risultare praticabile nella lotta alla mafia. Falcone portò in Italia un Buscetta pentito che doveva aprire la strada al ripensamento di tanti altri boss come Salvatore Contorno, Nino Calderone e Francesco Marino Mannoia. Bastò questo per segnare tanti punti, innanzitutto l'esito del primo maxiprocesso: una disfatta per Cosa Nostra.
Già, il maxiprocesso. Fu forse allora che Falcone e Borsellino firmarono la loro condanna a morte. Cosa Nostra capì che non ci poteva essere convivenza tra i propri interessi e quei due magistrati che parlavano in palermitano, capivano il linguaggio cifrato del “baccaglio” mafioso, si muovevano perfettamente a loro agio tra ammiccamenti, sguardi, segni apparentemente enigmatici, bugie e “tragedie” inesistenti, ordite semmai dal nulla per giustificare reazioni cruente. I due ex ragazzi della Kalsa, che in gioventù avevano giocato al calcio con coetanei poi “arruolati” dai boss, si ritrovavano insieme a contrastare un mondo che conoscevano e capivano per-
fettamente per averne trafugato, a suo tempo, la chiave di lettura. Per questo poterono dialogare coi collaboratori, riuscirono ad ottenerne la fiducia offrendo in cambio la semplice “parola d'onore” che avrebbe fatto tutto il possibile per aiutarli. Eppure Falcone e Borsellino non dovevano vedersela solo coi “bravi ragazzi” che maneggiano pistole, eroina e tritolo. La storia della vita e della morte di questi due eroi siciliani non lascia spazio a dubbi e ambiguità: Giovanni e Paolo non erano molto amati neppure nelle stanze che contano. Ovvio, si trattava di ostilità che si manifestava in modo diverso. Eppure quella ostilità pesava esattamente quanto le pallottole.
A Giovanni Falcone fu riservata prima la tagliente ironia del Palazzo di Giustizia di Palermo, poi la saccente campagna di stampa contro la presunta smania di protagonismo, quindi un vero e proprio “sbarramento” che gli avrebbe precluso il naturale ruolo di coordinatore delle inchieste sulla mafia. Analoghe difficoltà avrebbe poi incontrato Borsellino durante la sua permanenza a Palermo, dopo l'esperienza di Marsala, nella stanza di procuratore aggiunto.Una marcia lenta - quella di Falcone - verso la delegittimazione, fino al tritolo di Capaci, passando per l'inquietante avvertimento dell'Addaura (attentato fallito del giugno 1989) che si saldava con le “bordate” anonime degli scritti del “Corvo”. Quando Falcone salta in aria, Paolo Borsellino capisce che non gli resterà troppo tempo. Lo dice chiaro: “Devo fare in fretta, perché adesso tocca a me”. Nessuna fantasia di tragediografo ha mai prodotto nulla di simile. A rileggere, oggi, gli ultimi movimenti, le ultime parole di Paolo Borsellino, ci si imbatte in un uomo cosciente della propria fine imminente, perfettamente consapevole persino del possibile movente, eppure incapace di tirarsi indietro. Forse speranzoso di potercela fare, forse rassegnato ad una morte che in cuor suo “doveva” al suo amico Giovanni. (...)
Francesco La Licata è nato a Palermo. Ha cominciato a fare giornalismo nel 1970 nella redazione del quotidiano "L'Ora", diretto da Vittorio Nisticò. Si è sempre occupato di mafia, giustizia e - più in generale - di tutta la problematica relativa alla realtà siciliana e meridionale. E' stato testimone delle tragiche vicende palermitane che hanno segnato l'ultimo quarto dì secolo: dall'assassinio del procuratore Pietro Scaglione (1971), alle stragi di Capaci e via D'Amelio (1992), fino agli attentati di Roma, Firenze e Milano, alla cattura di Totò Riina, Nitto Santapaola e agli ultimissimi sviluppi della storia di Cosa Nostra con l'arresto dei boss (Aglieri, Brusca etc.) e la corsa al pentitismo.Ha lavorato - dopo aver lasciato "L'Ora" nel 1976 - presso la redazione del "Giornale di Sicilia" allora diretta da Fausto De Luca, collaborando da Palermo con i settimanali "L'Espresso" ed "Epoca".Dal 1986 scrive, prima da Palermo e successivamente (1989) come inviato, per il
quotidiano "La Stampa", chiamato dal direttore Gaetano Scardocchia. Per "La Stampa" ha raccontato l'evolversi della tragica catena di sangue voluta da Cosa Nostra ma anche altre storie significative come la piaga dei sequestri dì persona in Calabria o la prima invasione albanese del 1991. Per la Tv ha realizzato numerose inchieste, storie di mafia ed interviste. Ha lavorato per Mixer.Ha scritto Rapporto sulla mafia degli Anni '80, editore Flaccovio, in occasione della storica svolta rappresentata dal primo maxiprocesso a Cosa Nostra. Dopo la strage di Capaci, ha scritto una Storia di Giovanni Falcone (Rizzoli), col contributo delle sorelle del giudice assassinato, con il quale il giornalista ha avuto un rapporto di amicizia che andava oltre la reciproca stima professionale. Il libro si è rivelato un successo editoriale del 1993. Nello stesso anno, l'editore Flaccovio ha pubblicato Falcone vive riproponendo una intervista al giudice realizzata da Francesco La Licata insieme coi colleghi L. Galluzzo e Saverio Lodato nel 1986

venerdì 20 luglio 2007

Il decreto legge sulla droga
Febbraio 2006 -Niente più distinzione tra droghe leggere e pesanti, sanzioni amministrative per chi fa uso di stupefacenti, pene dai 6 ai 20 anni per traffico e spaccio di droga. Queste in sintesi le novità introdotte dal decreto legge che contiene "Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi" approvato in via definitiva l’8 febbraio 2006 dalla Camera dei Deputati.

Ecco in dettaglio le novità

Abolizione distinzione tra droghe leggere (come Marijuana, Cannabis, Hashish) e droghe pesanti (come cocaina, eroina)
Il consumo di qualsiasi sostanza viene punito con una sanzione amministrativa. Spetta a chi viene trovato con una dose che rientra nella quantità considerata "ad uso personale". Le sanzioni prevedono: ritiro patente, del passaporto o del permesso di soggiorno per gli stranieri
Pene dai 6 i 20 anni di carcere per traffico e spaccio di droga. Nelle condanne inferiori ai 6 anni il tossicodipendente può chiedere di tramutare la condanna in un periodo riabilitativo in una comunità disintossicante
Equiparazione enti pubblici e privati per il recupero dei tossicodipendenti
Le quote di stupefacente considerate ad uso personale
1000 milligrammi per cannabis
750 milligrammi per cocaina
250 milligrammi per eroina
750 milligrammi per MDMA (ecstasy)
500 milligrammi per amfetamina
150 microgrammi per Lsd
Con il decreto Legge del 13 novembre 2006 viene innalzato da 500 a 1000 milligrammi il quantitativo massimo di cannabis espresso in principio attivo, detenibile ad uso esclusivamente personale. Pertanto i cittadini che saranno trovati in possesso di quantitativi al di sotto di tale limite potranno essere oggetto solo di sanzioni amministrative senza incorrere nella presunzione di spaccio e nei provvedimenti punitivi che, in base alla legge Fini-Giovanardi, potevano arrivare fino all’arresto e al carcere anche per quantitativi realisticamente ascrivibili ad un uso personale.
Il nuovo valore soglia di 1.000 milligrammi di principio attivo della cannabis deriva dalla moltiplicazione per 40, anziché per 20 come previsto dalla vecchia tabella varata dal precedente Governo, della "dose media singola" che è pari a 25 milligrammi.
Secondo l’attuale legge sulla droga per "dose media singola" si intende la "quantità di principio attivo per singola assunzione idonea a produrre in un soggetto tollerante e dipendente un effetto stupefacente e psicotropo".

Per conoscere i danni provocati dalle droghe, Intrage ti offre un approfondimento suIl falso benessere delle droghe

martedì 17 luglio 2007

Nato a Cinisi, in provincia di Palermo, il 5 gennaio 1948, da una famiglia mafiosa (il padre Luigi era stato inviato al confino durante il periodo fascista, lo zio e altri parenti erano mafiosi e il cognato del padre era il capomafia Cesare Manzella, ucciso con una giulietta al tritolo nel 1963). Ancora ragazzo, rompe con il padre, che lo caccia via di casa, e avvia un’attività politico-culturale antimafiosa. Nel 1965 fonda il giornalino "L'Idea socialista" e aderisce al Psiup. Dal 1968 in poi partecipa, con ruolo dirigente, alle attività dei gruppi di Nuova Sinistra. Conduce le lotte dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo, in territorio di Cinisi, degli edili e dei disoccupati. Nel 1975 costituisce il gruppo “Musica e cultura”, che svolge attività culturali (cineforum, musica, teatro, dibattiti ecc.); nel 1976 fonda “Radio Aut”, radio privata autofinanziata, con cui denuncia quotidianamente i delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini, e in primo luogo del capomafia Gaetano Badalamenti, che avevano un ruolo di primo piano nei traffici internazionali di droga, attraverso il controllo dell’aeroporto. Il programma più seguito era “Onda pazza”, trasmissione satirica con cui sbeffeggiava mafiosi e politici. Nel 1978 si candida nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali. Viene assassinato nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978, nel corso della campagna elettorale, con una carica di tritolo posta sotto il corpo adagiato sui binari della ferrovia. Gli elettori di Cinisi votano il suo nome, riuscendo ad eleggerlo al Consiglio comunale. Stampa, forze dell'ordine e magistratura parlano di atto terroristico in cui l’attentatore sarebbe rimasto vittima e, dopo la scoperta di una lettera scritta molti mesi prima, di suicidio. Grazie all’attività del fratello Giovanni e della madre Felicia Bartolotta Impastato, che rompono pubblicamente con la parentela mafiosa, dei compagni di militanza e del Centro siciliano di documentazione di Palermo, nato nel 1977 e che nel 1980 si sarebbe intitolato a Giuseppe Impastato, viene individuata la matrice mafiosa del delitto e sulla base della documentazione raccolta e delle denunce presentate viene riaperta l’inchiesta giudiziaria. Il 9 maggio del 1979 il Centro siciliano di documentazione organizza, con Democrazia Proletaria, la prima manifestazione nazionale contro la mafia della storia d’Italia, a cui parteciparono 2000 persone provenienti da tutto il Paese. Nel maggio del 1984 l’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, sulla base delle indicazioni del Consigliere Istruttore Rocco Chinnici, che aveva avviato il lavoro del primo pool antimafia ed era stato assassinato nel luglio del 1983, emette una sentenza, firmata dal Consigliere Istruttore Antonino Caponnetto, in cui si riconosce la matrice mafiosa del delitto, attribuito però ad ignoti. Il Centro Impastato pubblica nel 1986 la storia di vita della madre di Giuseppe Impastato, nel volume La mafia in casa mia, e il dossier Notissimi ignoti, indicando come mandante del delitto il boss Gaetano Badalamenti, nel frattempo condannato a 45 anni di reclusione per traffico di droga dalla Corte di New York, nel processo alla “Pizza Connection”. La madre rivela un episodio che sarà decisivo: il viaggio negli Stati Uniti del marito Luigi, dopo un incontro con Badalamenti in seguito alla diffusione di un volantino particolarmente duro di Peppino. Durante il viaggio Luigi dice a una parente: "Prima di uccidere Peppino devono uccidere me". Morirà nel settembre del 1977 in un incidente stradale.Nel gennaio 1988 il Tribunale di Palermo invia una comunicazione giudiziaria a Badalamenti. Nel maggio del 1992 il Tribunale di Palermo decide l’archiviazione del “caso Impastato”, ribadendo la matrice mafiosa del delitto ma escludendo la possibilità di individuare i colpevoli e ipotizzando la possibile responsabilità dei mafiosi di Cinisi alleati dei “corleonesi”. Nel maggio del 1994 il Centro Impastato presenta un’istanza per la riapertura dell’inchiesta, accompagnata da una petizione popolare, chiedendo che venga interrogato sul delitto Impastato il nuovo collaboratore della giustizia Salvatore Palazzolo, affiliato alla mafia di Cinisi. Nel marzo del 1996 la madre, il fratello e il Centro Impastato presentano un esposto in cui chiedono di indagare su episodi non chiariti, riguardanti in particolare il comportamento dei carabinieri subito dopo il delitto. Nel giugno del 1996, in seguito alle dichiarazioni di Salvatore Palazzolo, che indica in Badalamenti il mandante dell’omicidio assieme al suo vice Vito Palazzolo, l’inchiesta viene formalmente riaperta. Nel novembre del 1997 viene emesso un ordine di cattura per Badalamenti, incriminato come mandante del delitto. Il 10 marzo 1999 si svolge l’udienza preliminare del processo contro Vito Palazzolo, mentre la posizione di Badalamenti viene stralciata. I familiari, il Centro Impastato, Rifondazione comunista, il Comune di Cinisi e l’Ordine dei giornalisti chiedono di costituirsi parte civile e la loro richiesta viene accolta. Il 23 novembre 1999 Gaetano Badalamenti rinuncia alla udienza preliminare e chiede il giudizio immediato. Nell’udienza del 26 gennaio 2000 la difesa di Vito Palazzolo chiede che si proceda con il rito abbreviato, mentre il processo contro Gaetano Badalamenti si svolgerà con il rito normale e in video-conferenza. Il 4 maggio, nel procedimento contro Palazzolo, e il 21 settembre, nel processo contro Badalamenti, vengono respinte le richieste di costituzione di parte civile del Centro Impastato, di Rifondazione comunista e dell’Ordine dei giornalisti.Nel 1998 presso la Commissione parlamentare antimafia si è costituito un Comitato sul caso Impastato e il 6 Dicembre 2000 è stata approvata una relazione sulle responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini.Il 5 marzo 2001 la Corte d'assise ha riconosciuto Vito Palazzolo colpevole e lo ha condannato a 30 anni di reclusione. L'11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti è stato condannato all'ergastolo. Badalamenti e Palazzolo sono successivamente deceduti.Il 7 dicembre 2004 è morta Felicia Bartolotta, madre di Peppino

mercoledì 11 luglio 2007

Polizia dappertutto, giustizia no! Polizia dappertutto, giustizia no! Polizia dappertutto, giustizia no! Polizia dappertutto! E' certo che nessuno mancherà di notare il duplice vantaggio di una polizia locale l'agente di quartiere dirà all'imprenditore "Se bruci qualche negro non sporcare per favore" Questo è a 120, mannaggia è l'avvocato! questo è a 120, mia cugina col marito questo è a 120 e di santi non ne ha io gli tolgo la patente è per questo che son qua! Polizia dappertutto, giustizia no! Polizia dappertutto, giustizia no! Polizia dappertutto, giustizia no! Polizia dappertutto! Alla mattina sgombero di un'altra palazzina l'immobiliare prospera, la gente va in rovina al pomeriggio scarichi la nuova suoneria faccetta nera prima nelle chart di polizia Questo è a 180, cazzo l'eurodeputato! questo è a 180, presidente del Senato! questo è a 180 è un collega dice dai, c'è una festa sii discreto, ci si vede a Bolzaneto! Polizia dappertutto, giustizia no! Polizia dappertutto, giustizia no! Polizia dappertutto, giustizia no! Polizia dappertutto! Fratello poliziotto che ascolti questa voce può darsi che ti senta ingiustamente maltrattato ma non venirmi a dire che questo è il tuo mestiere che dei diritti umani sei l'alfiere. Fratello poliziotto dai fai la cosa giusta puoi sempre riciclarti come ladro o come artista, puoi stringere un po i denti, lavorare come un mulo o più semplicemente puoi andare a fare in culo! Fratello poliziotto... può darsi che ti senta ingiustamente maltrattato ma non venirmi a dire che questo è il tuo mestiere che dei diritti umani sei l'alfiere. Fratello poliziotto dai fai la cosa giusta puoi sempre riciclarti come ladro o come artista, puoi stringere un po i denti, lavorare come un mulo o più semplicemente puoi andare... ...in giro per il mondo che bello guerreggiare ma non pensare male, è polizia internazionale Portare occupazione, libertà e democrazia portare occupazione, libertà e democrazia, tanti posti di lavoro tutti nella polizia! Polizia dappertutto, giustizia no! Polizia dappertutto, giustizia no! Polizia dappertutto, giustizia no! Polizia dappertutto, Polizia dappertutto, giustizia no! Polizia dappertutto, giustizia no! Polizia dappertutto, giustizia no! Polizia dappertutto!


punkreas fratello poliziotto

lunedì 9 luglio 2007

Beppe Grillo, popolarissimo personaggio dei giorni nostri. Acclamato da masse di fans, che nel suo inestancabile girovagare, per l'Italia e non soltanto, registra il tutto esaurito.Chi è veramente Beppe Grillo: un comico, un attore, un giornalista, un politico con la maiuscola, un filosofo, una specie di messia moderno, un tribuno del ventunesimo secolo, un "grillo parlante"? Forse un pò di tutto questo. Ma sicuramente Beppe Grillo è un coraggioso gigante del buon senso, che con la sua ironia illuminina moltissimi problemi del nostro tempo, della complicata e a volte tortuosa nostra vita quotidiana. Ma la cosa più importante è che al segnalare un problema lo accompagna sempre con la proposta di una soluzione, sempre saggia e ovvia.
Noi, da questa rubrica dedicata a Beppe Grillo e, con la gentilezza di "Segnali di Vita", in modo completamente autonomo cercheremo di contribuire alla diffusione del messaggio di questo maestro. Dato che lo consideriamo estremamente positivo e utile nella via di costruire una Italia migliore e un mondo più giusto.
Questo è l'inizio del lavoro per ripristinare in breve la rubrica su Beppe Grillo, completamente rinnovata.
Aprofittiamo per sollecitare ai fans di Beppe e i visitatori della rubrica d'inviarci vignette, aneddoti e cose curiose relative a Beppe Grillo. Il materiale ricevuto sarà selezionato e poi pubblicato. Grazie!
Attore comico e satirico, scrittore, illustratore, cantante, Daniele Luttazzi è uno dei personaggi artisticamente più completi del panorama televisivo italiano: le sue “opere d’arte” si leggono, si guardano, si ascoltano. Daniele (all’anagrafe Daniele Fabbri) nasce a Santarcangelo di Romagna, in provincia di Rimini, il 26 gennaio 1961. Dopo aver conseguito la maturità classica si laurea in medicina e nel frattempo collabora con la rivista “Tango” come vignettista ed é tra i fondatori del settimanale umoristico “Comix”. Nel 1988, con un breve monologo, vince il premio “Zanzara d'Oro”, concorso bolognese per comici esordienti. Partecipa anche a “Riso in Italy”, concorso romano di cabaret che lo fa entrare di diritto nel mondo della televisione. Così Daniele Luttazzi diventa “l'opinionista” con Lella Costa e su Rai2 commenta fatti d'attualità. Viene richiesto a Telemontecarlo in un programma che si intitola “Banane” e in seguito partecipa ad alcune edizioni della trasmissione "Mai dire gol", dove interpreta il giornalista Panfilo Maria Lippi, il professor Fontecedro e l’annunciatrice Luisella.Nel 1998 pubblica il libro "Cosmico", raccolta dei personaggi interpretati in trasmissione; precedentemente Luttazzi scrisse “101 cose da evitare a un funerale” del 1993 e del ‘94 “Sesso con Luttazzi” , “Adenoidi”, “Va dove ti porta il clito” (parodia del celebre libro di Susanna Tamaro “Va dove ti porta il cuore”) e "Tabloid". Inoltre sono da citare “C.R.A.M.P.O.” (Corso rapido di approfondimento minimo per ottenebrati) del 1996, "Teatro. Rettili & roditori. Scene da un adulterio" del 1997, e "Barracuda" del 1999, anche titolo dell'omonima trasmissione televisiva condotta su Italia 1 nello stesso anno: un programma sarcastico e comico ispirato ai talk show satirici americani sul modello di David Letterman, che sollevò molte polemiche.L’ultimo capitolo della trilogia di monologhi ispirati a Silvio Berlusconi è "Bollito misto con mostarda" del 2005: il “bollito misto” è riferito all'attualità e la “mostarda” sta ad indicare il sapore speziato tipico della satira. Inoltre, traduce tre classici di Woody Allen.Verso la fine dello scorso anno Luttazzi debutta in teatro con Barracuda 2007, monologo del 1999 completamente rivisto e aggiornato. Allo stesso tempo esce in edicola il suo ultimo libro Lepidezze postribolari, edito da Feltrinelli.Daniele Luttazzi è un personaggio dal tipico umorismo pungente, e sorprese un po' tutti, critici musicali compresi, pubblicando nel 2005 un CD musicale dal titolo “Money for dope", 10 brani arrangiati dal jazzista e direttore d'orchestra di fama internazionale Massimo Nunzi, dalle sonorità che si collocano tra la new wave e il jazz anni 50. Il disco narra la storia di un' amica morta per overdose, e contiene sia aspetti tragici che momenti buffi ed ironici. A febbraio 2007 è il turno del secondo disco, "School is boring": 10 ritratti femminili descritti in canzoni struggenti e insolite, composte fra il 1979 e il 2005. Il disco viene distribuito solo su internet.Dopo le ferventi critiche al suo programma “Satyricon” cancellato dalla programmazione Rai nel 2001, Luttazzi non ha più fatto apparizioni televisive: benché nell'ottobre del 2006 gli fu offerto da Sky uno spazio nel nuovo canale comedy, quando Luttazzi espose l'idea del suo nuovo programma, Sky propose forti modifiche per edulcorarne il contenuto, e Luttazzi li congedò, permettendosi addirittura, lo stesso anno, di rifiutare l’invito di Pippo Baudo a partecipare al Festival di Sanremo.Di lui, lo stesso Baudo affermò nel 2001: « Ritengo Luttazzi ineguagliabile. I suoi monologhi sono bellissimi. Si può non condividerli, ma tecnicamente sono perfetti.»

daniele luttazzi
ma gg stavamo a mr.magoo io kiara.fiona,giovannino.,karlo ecc ecc...un idioma comincia a fa commenti nn so cosa e poi mi kiama spercifiko ke nn lo conosco allora m'ingrippo e gli faccio ma mo ke vuoi?!? allora lui si stava a fa sotto del tipo...hihihihihihihihihihii...e nn so...comincia tipo a fa lo sborone(solo xkè avrebbe fatto una pessima figura cn gli amici)allora io mi qualifiko e comincia del tipo a abbassare ala cresta...ma sti mammoccetti sn troppo esaltati...ma cn me abbassano la cresta!!!hihiihiiihiiihihiiii
krisss...grazie di essere sempre presente nn sai quanto lo apprezzi sei un'amore...kisss...li grazie...ti li voglio tanto,tanto,tanto,tantotanto....ma tanto...sabato sei stato la mia guida...cm sempre...hihiihiihhihihihiihi...baciiiiiiiii
Dall'analisi di questa sequenza quindi ci si accorge che:- La cosiddetta aggressione dei manifestanti alla camionetta poteva essere dispersa con l'intervento delle decine di uomini (bardati di tutto punto) presenti a pochi metri di distanza. Non si è trattato, come è stato fatto credere per giustificare il ricorso estremo alla pistola, di una offensiva a due singoli militari. La jeep non era né isolata né impossibilitata a manovrare.- La situazione di rischio per i carabinieri presenti all'interno della jeep, derivante dall'assenza del lunotto posteriore, è stata determinata dalla assurda scelta dei militari stessi di infrangere il finestrino.- Carlo si è avvicinato alla jeep a mani nude, e ha raccolto l'estintore dopo averne subito il lancio da parte del carabiniere. La sua è stata quindi una reazione a un gesto potenzialmente omicida compiuto dal militare.- La scelta di ricorrere all'arma da parte del carabiniere è stata assolutamente indipendente dalla sua preoccupazione per le possibili conseguenze del gesto di Carlo, dato che il militare estrae la pistola e la punta sulla folla ben prima che il ragazzo raccolga l'estintore e lo rivolga verso la camionetta.- Il carabiniere aveva tutto il tempo di utilizzare l'arma in maniera meno drastica, tentando un colpo in aria o - in ipotesi estrema - mirando a punti non vitali. Invece il militare, quando Carlo è ancora a diversi metri dalla camionetta, sceglie di mirare alla testa del ragazzo ed esplode due colpi.Caro lettore,già che sei arrivato fin qui ragiona un secondo: tu sei un carabiniere e ti trovi all'interno di una jeep chiusa. Hai dei facinorosi attorno, che sono a mani nude. Che cosa fai? Rompi a calci il finestrino, scagli fuori un estintore, estrai la pistola e la punti sulla folla, poi - quando un manifestante raccoglie l'estintore - prima ancora che costui si avvicini alla jeep miri alla testa (alla testa, cristo) e spari. E hanno il coraggio di chiamarla LEGITTIMA DIFESA!!! A un anno di distanza, le forze dell'ordine invocano ricostruzioni che sfuggono alle più elementari leggi della balistica, oltre a contraddire clamorosamente ciò che è visibile in queste immagini, e parlano di uno sparo rivolto verso l'alto (!) e di un bizzarro proiettile che avrebbe rimbalzato contro un sasso volante (!!!) invertendo la direzione di marcia e puntando quindi accidentalmente alla testa di Carlo. Prima o poi ci racconteranno che in piazza Alimonda quel giorno c'era una banale esercitazione di tiro al piattello, e che Carlo ci si è trovato in mezzo...Cliccate qui per leggere gli articoli su queste vergognose perizie propinateci dallo Stato italiano, e leggete la controinchiesta sulla morte di Carlo a cura di Sherwood.
"Hanno ucciso un ragazzo nella piazza dove sono nato" Per non dimenticare Carlo Giuliani, 23 anni, assassinato dal regime italiano il 20 luglio 2001.
Questa è la testimonianza oculare di un amico di Carlo: Ero piazza Alimonda il 20 luglio alle 17.Ero con Carlo ed alcuni altri fratelli davanti al mezzo dei CC apparentemente "bloccato" tra cassonetto e non si sa bene cosa. Eravamo in pochi lì davanti, una dozzina forse, e la nostra attenzione non era proprio rivolta verso il fuoristrada dei carabinieri bensì verso il plotone di celerini che, maschera antigas indossata, lanciavano pietre e puntavano fucili verso i manifestanti.I secondi scorrevano istante per istante, fotogramma per fotogramma.Mi ha fin da subito stupito che quella jeep e chi era rimasto dentro (ho ben chiara l'immagine di un carrubba che ha il tempo di uscire e di raggiungere gli altri) facessero "cose strane": prima ancora che un paio di compagni si avvicinassero ai finestrini lato manifestanti, il carabiniere all'interno colpiva ripetutamente a suon di anfibio il lunotto posteriore del fuoristrada cercando di romperlo. Ho visto chiaramente l'anfibio del militare sfondare il vetro posteriore della jeep.E' stato proprio questo gesto inconsueto, apparentemente non comprensibile che mi ha fatto istintivamente allontanare e correre sul sagrato della chiesa.Mentre correvo verso il muro della chiesa avevo gia' la sensazione di ripararmi da qualcosa che non erano pietre o lacrimogeni. Ero appena rientrato dalla testa del corteo disobbediente che cercava di difendersi dalla brutale e inarrestabile violenza dei celerini che caricavano la gente con blindati, sassi e lacrimogeni e avevo gia' visto quelle camionette CC che arretravano in retromarcia con la portiera aperta e la pistola puntata ad altezza d'uomo verso la folla. Avevo gia' sentito pochi minuti prima quei suoni "diversi", quegli spari secchi e concisi che si distinguevano da quelli dei lacrimogeni. Ma non avevo ancora realizzato.Quando mi sono girato, spalle al muro, verso la strada ho visto il corpo che giaceva immobile per terra. Il mio respiro e il mio tempo si erano fermati. Mi sono precipitato sul corpo urlandomi dentro: "Non e' possibile! Perchè??! Perchè??!!".Mi sono fermato un'istante che non finiva mai guardando Carlo, poi mi sono girato verso quegli assassini in divisa che indicavano il corpo coi manganelli e che cominciavano a correre verso di noi urlando.Sono corso via con le lacrime in volto, con la morte dentro e con quegli spari che mi rimbalzavano nei timpani.Ho visto la testa zampillare di sangue, e poteva essere la mia.Ho visto un corpo trucidato dal piombo, e poteva essere il mio.Ho visto un fratello cadere...era un mio fratello!!!Carlo era uno di noi.VERITA' SULL'OMICIDIO DI CARLO.VERITA' SUI FATTI DI GENOVA.
2001, Genova, Italia homepage
Il personale della Pubblica Assistenza riesce ad entrare nel cerchio che le forze dell'ordine hanno eretto attorno al corpo di Carlo. Il cuore del ragazzo smette di battere. China su di lui, un'infermiera disperata si tiene la testa tra le mani. Non c'è più nulla da fare.
Carlo rimane sull'asfalto. Il suo cuore non ha ancora smesso di battere. Alcuni manifestanti si precipitano a soccorrerlo, cercando di evitare che si dissangui. Le forze dell'ordine ora intervengono in massa, e con violente cariche e lanci di lacrimogeni proibiscono a chiunque di avvicinarsi al luogo in cui lo Stato ha appena commesso uno spietato omicidio. Alcuni uomini in divisa lo prendono a calci, aggiungendo una brutale tortura a quella condanna a morte. Alcune testimonianze parlano anche di celerini che spengono le sigarette sul corpo di Carlo. Gli scontri attorno al corpo di Carlo proseguono per molte ore. Nel frattempo, con le prime dichiarazioni, le forze dell'ordine negano la responsabilità dell'accaduto. I filmati televisivi mostreranno il vice-questore della Polizia rincorrere un manifestante urlandogli "lo hai ucciso tu, con una pietra!", e questa è la pazzesca versione che gli responsabili di carabinieri e polizia tenteranno di accreditare, prima che queste immagini inizino a fare il giro delle agenzie e chiariscano a tutti da che parte è la verità.
L'autista ingrana la prima: passando per la seconda volta sul corpo di Carlo, il mezzo si muove di pochi metri in avanti, dove molti rinforzi stanno ad aspettare. Se erano così vicini, perchè è stato necessario sparare? E inoltre: dal momento dello sparo al momento in cui la jeep abbandona la scena, passano appena quattro secondi e mezzo. E quella sarebbe una jeep incastrata ed impossibilitata a muoversi? Perché la stessa repentina manovra non è stata effettuata prima?Il carabiniere sulla sinistra si mette le mani sul casco, in stato di shock. A bordo della jeep, quello che ha sparato ora è visibile, indossa un passamontagna di quelli in dotazione da mettere sotto le maschere antigas. Ma non ha né maschera antigas, né casco. Anche l'autista indossa solo un passamontagna
L'autista fa retromarcia sul corpo di Carlo, che è ancora vivo. Il carabiniere che ha sparato si copre il volto con le mani.
Carlo cade a terra, colpito. Il rinculo del colpo lo fa sbandare prima di cadere. In questo momento la jeep è ancora ferma contro al cassonetto.
La pistola punta direttamente alla testa di Carlo. E' una spietata esecuzione.Presa la mira, il carabiniere esplode due colpi, uno dei quali colpisce il ragazzo: entra sotto lo zigomo sinistro e fuoriesce dalla nuca. Sono le 17.27.
IMPORTANTE: questa inquadratura laterale permette di valutare le reali distanze della scena, rivelando lo schiacciamento prospettico delle immagini scattate col teleobiettivo: nel momento in cui Carlo solleva l'estintore e sta per partire il colpo che lo uccide, si trova a circa quattro metri della camionetta. Questo vuol dire che il carabiniere a bordo sta per sparare - mirando deliberatamente alla testa di Carlo - senza essere particolarmente pressato da una aggressione ravvicinata o da situazione di rischio immediato per se stesso
Carlo Giuliani ha ora l'estintore in mano, di fronte alla faccia del carabiniere. Si è accorto di essere sotto tiro di una pistola, e probabilmente vuole disarmare il carabiniere, o indurlo a mettere via l'arma. La mamma di Carlo, in seguito intervistata, legge nella mente del figlio una intenzione riassumibile in una frase tipo "ma che vuoi fare, con quella pistola? ma mettila via!"
Il ragazzo con la felpa, impaurito dalla vista dell'arma, tenta di correre lontano dalla jeep. Sembra che gli altri manifestanti invece non si siano accorti della pistola puntata. Carlo Giuliani raccoglie l'estintore.
Il carabiniere sul retro punta la pistola fuori dal finestrino posteriore. Il ragazzo con la felpa lo vede. Carlo Giuliani (il ragazzo in canottiera e con il passamontagna) forse non se ne accorge perché sta guardando a terra, dove probabilmente vede l'estintore che sta per raccogliere.
Durante una delle feroci cariche effettuate nelle strade di Genova dalle forze dell'ordine (e qui siamo peraltro molto lontano dalla "zona rossa" intedetta), un gruppo di manifestanti reagisce, inverte la direzione di fuga e corre a viso aperto verso lo schieramento di uomini in divisa. Due jeep dei carabinieri a questo punto si muovono per abbandonare la piazza. La prima scende per la strada contigua e si ferma ad alcune decine di metri, nel punto dove stazionano in massa altri reparti di forze dell'ordine, con uomini e blindati. La seconda jeep urta contro un cassonetto rovesciato e si arresta. Ma il mezzo NON è incastrato in uno spazio stretto, come si vuole far credere. Potrebbe forzare la marcia contro l'ostacolo per aprirsi un varco (un cassonetto parzialmente pieno di immondizia non è un peso che possa bloccare un defender), oppure tentare una retromarcia. Ma l'autista non compie nessuna di queste manovre (che, come sarà chiarito più oltre in questa pagina, avrebbero richiesto pochi secondi). La jeep viene allora circondata da un gruppo di manifestanti. Il finestrino posteriore non esiste più, perché è stato sfondato a colpi di anfibio da uno dei militari presenti all'interno del mezzo per aprire un varco utile a colpire i manifestanti: contro questi ultimi viene lanciato un estintore dall'interno del mezzo. In questa foto, sulla sinistra, è possibile vedere due carabinieri chiamare rinforzi, che da immagini a campo largo si vedono essere massicciamente presenti a meno di 30 metri. Quindi è una menzogna anche quella secondo cui i manifestanti avrebbero assaltato una jeep isolata. Ma inspiegabilmente gli uomini della Celere stanno fermi, non intervengono.
Falcone e Borsellino: due nomi, un solo luogo del nostro immaginario collettivo, a testimonianza di una tragedia che ha colpito tutti, un intero popolo. E' difficile scindere questo binomio, impossibile parlare di Giovanni, senza immediatamente ricordare Paolo. Nella nostra mente si è insediato un automatismo che sarà difficile rimuovere. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano uniti in vita, legati da un “mestiere” che per loro era missione: liberare la società civile dall'oppressione di una “mala pianta”- la mafia - che nasce, vive e prospera nello stesso umore nutritivo prodotto dalla Sicilia. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono ora inscindibili nella nostra memoria. Come accade per quanti diventano simbolo contro la loro stessa volontà, eroi soltanto per aver voluto esercitare il diritto di affermare le proprie idee, per aver rifiutato la via facile dell'accomodamento e del quieto vivere. La loro fine, orribile e tragica, li ha fusi insieme. Così che oggi, quasi naturalmente, il viaggiatore che si avvicini alla Sicilia sentirà i loro nomi prima ancora di mettere piede nell'Isola. Al momento dell'atterraggio sarà la voce del comandante ad informare che “tra pochi minuti atterreremo all'aeroporto Falcone - Borsellino”. I siciliani, i siciliani onesti amano quei magistrati caduti a meno di due mesi l'uno dall'altro. I mafiosi li rispettano, come li temevano quando erano vivi. (...)I colpi subiti dai collaboratori di giustizia, i pentiti. “Invenzione” di Giovanni Falcone, quando nessuno osava soltanto pensare alla eventualità che uno strumento rivelatosi essenziale contro il terrorismo potesse risultare praticabile nella lotta alla mafia. Falcone portò in Italia un Buscetta pentito che doveva aprire la strada al ripensamento di tanti altri boss come Salvatore Contorno, Nino Calderone e Francesco Marino Mannoia. Bastò questo per segnare tanti punti, innanzitutto l'esito del primo maxiprocesso: una disfatta per Cosa Nostra.
Già, il maxiprocesso. Fu forse allora che Falcone e Borsellino firmarono la loro condanna a morte. Cosa Nostra capì che non ci poteva essere convivenza tra i propri interessi e quei due magistrati che parlavano in palermitano, capivano il linguaggio cifrato del “baccaglio” mafioso, si muovevano perfettamente a loro agio tra ammiccamenti, sguardi, segni apparentemente enigmatici, bugie e “tragedie” inesistenti, ordite semmai dal nulla per giustificare reazioni cruente. I due ex ragazzi della Kalsa, che in gioventù avevano giocato al calcio con coetanei poi “arruolati” dai boss, si ritrovavano insieme a contrastare un mondo che conoscevano e capivano per-
fettamente per averne trafugato, a suo tempo, la chiave di lettura. Per questo poterono dialogare coi collaboratori, riuscirono ad ottenerne la fiducia offrendo in cambio la semplice “parola d'onore” che avrebbe fatto tutto il possibile per aiutarli. Eppure Falcone e Borsellino non dovevano vedersela solo coi “bravi ragazzi” che maneggiano pistole, eroina e tritolo. La storia della vita e della morte di questi due eroi siciliani non lascia spazio a dubbi e ambiguità: Giovanni e Paolo non erano molto amati neppure nelle stanze che contano. Ovvio, si trattava di ostilità che si manifestava in modo diverso. Eppure quella ostilità pesava esattamente quanto le pallottole.
A Giovanni Falcone fu riservata prima la tagliente ironia del Palazzo di Giustizia di Palermo, poi la saccente campagna di stampa contro la presunta smania di protagonismo, quindi un vero e proprio “sbarramento” che gli avrebbe precluso il naturale ruolo di coordinatore delle inchieste sulla mafia. Analoghe difficoltà avrebbe poi incontrato Borsellino durante la sua permanenza a Palermo, dopo l'esperienza di Marsala, nella stanza di procuratore aggiunto.Una marcia lenta - quella di Falcone - verso la delegittimazione, fino al tritolo di Capaci, passando per l'inquietante avvertimento dell'Addaura (attentato fallito del giugno 1989) che si saldava con le “bordate” anonime degli scritti del “Corvo”. Quando Falcone salta in aria, Paolo Borsellino capisce che non gli resterà troppo tempo. Lo dice chiaro: “Devo fare in fretta, perché adesso tocca a me”. Nessuna fantasia di tragediografo ha mai prodotto nulla di simile. A rileggere, oggi, gli ultimi movimenti, le ultime parole di Paolo Borsellino, ci si imbatte in un uomo cosciente della propria fine imminente, perfettamente consapevole persino del possibile movente, eppure incapace di tirarsi indietro. Forse speranzoso di potercela fare, forse rassegnato ad una morte che in cuor suo “doveva” al suo amico Giovanni. (...)
Francesco La Licata è nato a Palermo. Ha cominciato a fare giornalismo nel 1970 nella redazione del quotidiano "L'Ora", diretto da Vittorio Nisticò. Si è sempre occupato di mafia, giustizia e - più in generale - di tutta la problematica relativa alla realtà siciliana e meridionale. E' stato testimone delle tragiche vicende palermitane che hanno segnato l'ultimo quarto dì secolo: dall'assassinio del procuratore Pietro Scaglione (1971), alle stragi di Capaci e via D'Amelio (1992), fino agli attentati di Roma, Firenze e Milano, alla cattura di Totò Riina, Nitto Santapaola e agli ultimissimi sviluppi della storia di Cosa Nostra con l'arresto dei boss (Aglieri, Brusca etc.) e la corsa al pentitismo.Ha lavorato - dopo aver lasciato "L'Ora" nel 1976 - presso la redazione del "Giornale di Sicilia" allora diretta da Fausto De Luca, collaborando da Palermo con i settimanali "L'Espresso" ed "Epoca".Dal 1986 scrive, prima da Palermo e successivamente (1989) come inviato, per il
quotidiano "La Stampa", chiamato dal direttore Gaetano Scardocchia. Per "La Stampa" ha raccontato l'evolversi della tragica catena di sangue voluta da Cosa Nostra ma anche altre storie significative come la piaga dei sequestri dì persona in Calabria o la prima invasione albanese del 1991. Per la Tv ha realizzato numerose inchieste, storie di mafia ed interviste. Ha lavorato per Mixer.Ha scritto Rapporto sulla mafia degli Anni '80, editore Flaccovio, in occasione della storica svolta rappresentata dal primo maxiprocesso a Cosa Nostra. Dopo la strage di Capaci, ha scritto una Storia di Giovanni Falcone (Rizzoli), col contributo delle sorelle del giudice assassinato, con il quale il giornalista ha avuto un rapporto di amicizia che andava oltre la reciproca stima professionale. Il libro si è rivelato un successo editoriale del 1993. Nello stesso anno, l'editore Flaccovio ha pubblicato Falcone vive riproponendo una intervista al giudice realizzata da Francesco La Licata insieme coi colleghi L. Galluzzo e Saverio Lodato nel 1986.
19789 maggio. Alle ore 1,40 il macchinista del treno Trapani-Palermo, Gaetano Sdegno, transitando in località "Feudo", nel territorio di Cinisi, avverte uno scossone, ferma la locomotiva e constata che il binario era tranciato. Avverte il dirigente della stazione ferroviaria che, alle 3,45 chiama per telefono i carabinieri. Questi accorrono sul posto: dal loro sopralluogo risulta che il binario è stato divelto per un tratto di circa 40 centimetri e che nel raggio di circa 300 metri erano sparsi resti umani. La persona deceduta in seguito all'esplosione viene identificata in Giuseppe (familiarmente Peppino) Impastato.
Dopo il “testimone di mafia”, famoso, giudice Giovanni Falcone, eccone un altro, meno famoso, Giuseppe Impastato. Non era un giudice. Era......uno qualunque?
Queste righe non vogliono essere la presentazione o l’impossibile riassunto della sua vita, ma un invito ad andare a conoscere la sua storia, i suoi ideali, la sua lotta contro la mafia, contro alcuni aspetti della sua famiglia e della sua stessa personalità.
Quindi per saperne di più: www.centroimpastato.it
Peppino è cresciuto tra un padre mafioso, anche se prudentemente autopensionatosi, e una madre educata a tacere, ma che di tanto in tanto esplode. Il suo rifiuto della mafia e tutt’uno con la sua infanzia, con la sua voglia di vivere che si scontra con l’autoritarismo del padre.
Peppino ha rotto due tabù: quello mafioso e quello democristiano. A Cinisi mafia e Democrazia Cristiana sono la stessa cosa, e lo sono pure nella famiglia di Luigi Impastato. Il padre lo scaccia di casa; é un gesto plateale che si ripeterà varie volte, fino alla definitiva espulsione. Il padre, cacciandolo di casa, dice a tutto il paese, e “manda a dire” in particolare ai suoi amici capimafia e gregari, che lui non ha niente a che fare con quel figlio e con quelle scelte.
Questa storia familiare, micidiale per Peppino ed emblematica di una Sicilia che uccide prima che con la lupara e i kalashnikov con i suoi tiranni familiari, padri che vogliono i figli a loro immagine e somiglianza e che per essere domestici saturni non sempre hanno bisogno di essere affiliati alle “onorate società”, ha diviso in due la personalità di Peppino e ha spaccato la sua stessa famiglia.
Dagli appunti di Peppino abbiamo un quadro umano, oltre che politico, dell’esperienza del ’68.
(......) “E stato forse quello il periodo più straziante e al tempo stesso più esaltante della mia esistenza e della mia storia politica. Passavo con continuità ininterrotta da fasi di cupa disperazione a momenti di autentica esaltazione e capacità creativa: la costruzione di un vastissimo movimento d’opinione a livello giovanile, il proliferare delle sedi di partito nella zona, le prime esperienze di lotta di quartiere, stavano li a dimostrarlo. Ma io mi allontanavo sempre più dalla realtà, diventava sempre più difficile stabilire un rapporto lineare col mondo esterno, mi racchiudevo sempre più in me stesso. Mi caratterizzava una grande paura di tutto e di tutti e al tempo stesso una voglia quasi incontrollabile di aprirmi e costruire. Da un mese all’altro, da una settimana all’altra, diventava sempre più difficile riconoscermi. Per giorni e giorni non parlavo con nessuno, poi ritornavo a gioire, a proporre, a riproporre: vivevo in uno stato di incontrollabile schizofrenia.”
Umberto Santino ha scritto di lui:
“Io non so, per non averlo mai visto da vicino, come Peppino sorrideva, e se sorrideva; non so com’era quando sprofondava in una crisi di disperazione o quando faceva un comizio o scriveva un volantino. Le immagini fotografiche che ho di lui sono scialbe e deludenti. La voce delle registrazioni non mi dice niente di particolare. Ma ho capito e capisco, ho rispettato e rispetto, potrei dire anche amato, quello che mi pare nucleo e radice della sua vicenda personale. Si chiama, senza infingimenti, solitudine. Peppino è stato, o comunque si è sentito, solo dentro la sua famiglia, nel suo paese, nella sua attività politica, e tutta la sua vita è lacerata da una rottura originaria e volta a rimarginarla in un impegno di convivenza con gli altri, sempre rinnovato, fino alla fine, anche se sempre, o quasi sempre, deluso. Queste cose le ha scritte, senza pietà, o più verisimilmente con grandissima pietà, per se stesso e per gli altri.”
Queste vogliono essere, come altre pagine dedicate ad altri “Testimoni”, uno spunto di riflessione sulla nostra vita. Peppino è testimone di come “la lotta contro la mafia” avviene a più livelli: prima di tutto e ogni giorno nella sua persona, poi nella sua famiglia, nel suo paese e nella Sicilia intera.
Così anche noi dovremmo “lottare” a più livelli per concretizzare i nostri valori: non ha senso, ad esempio, manifestare a Genova per ragioni “globali”, senza coinvolgere in queste ragioni anche la nostra famiglia (si cambia....SOLOINSIEME!); non ha senso “parlare” delle contraddizioni del mondo senza cimentarle nel confronto con il proprio “vivere” e la propria personalità. Quest’ultima è forse la più grande fatica: quale sofferenza nella solitudine e nelle lotte interiori di Peppino?
Quale la nostra responsabilità nel lasciare a lottare da soli alcuni testimoni inevidenti dei luoghi e tempi in cui viviamo?
Ai funerali di Peppino, e dopo in tante manifestazioni, i suoi compagni, quelli che avevano vissuto con lui l’esperienza delle lotte e delle denunce, delle manifestazioni e di Radio Aut, gli “scazzi” e le riconciliazioni, hanno inalberato uno striscione con scritto: “Con le idee e il coraggio di Peppino noi continuiamo”. Si sa che certe cose è facile scriverle ma difficile, molto difficile, attuarle. Per molte ragioni, molti non hanno continuato, e tra i suoi compagni e tra gli altri che in quella scritta si erano riconosciuti.
Testo canzone:RafanielloSe dici ca te piace a favece e o martielloma pienz' ca rifondazione comunistaé nu fatto trooooppo belloallora tu sì nù...Rafaniellorosso fuori, bianco dentro! Yeaaa! Rafaniello, rafaniello,rafaniello, rafaniello,rafaniello, rafaniello, rafanie' l' l' l' l'!Sta gente fann' e tuost', e veri comunist'bannere, spilletelle, magliette antagonistema tutt'e capi vuost' o 7 Aprile l'ato vistoca mannaveno in galera e frat' antagonist'cumpagne aret' e sbarre, dint' e galere imperialistepe mezz' e gli interessi do Partito Comunistae se sparteno e denar' cà Democrazia Cristianao partit' ca mettete e bombe a Piazza FontanaRafaniello, rafaniello,rafaniello, rafaniello,rafaniello, rafaniello, rafanie' l' l' l' l'!Armando Cossutta rifonda il Comunismo,Sergio Garavini rifonda il Comunismo,Ersilia Salvato rifonda il Comunismo,Galante Garrone rifonda il Comunismo,Calogero e Ingrao se stanno 'ncopp' a Querciama nun te 'ncaricà, sò sempe a stessa fecciama mo facimme a mente ca nun ce ne fotte niente,chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato simme tutti comunist' e scurdammece o passatoce sta a manifestazione, serve gente p'ò curdone addò sta Rifondazione?Veco una delegazione s'avvicina o dirigente e me dice stì parole: -Sono un comunista,sono di rifondazionevoglio fà a Rivoluzionema dico no al cordoneperché il vero movimento é sempre quello non violentoaltrimenti come faccio a contrattare in Parlamento?- E allora sient' a me ,si nu ddieci e Rafaniellotu vuò fà a rivoluzioneassettato int'a poltronaa poltrona chiaramenteca sta dint' o Parlament'e allora arape e recchie: E contraddizioni nun stann' o Parlamente ma tra la popolazione!Tu si...Rafaniello, rafaniello,rafaniello, rafaniello,rafaniello, rafaniello, rafanie' l' l' l' l'!Migliar' e tesserati chine e potenzialità dint' e sedi abbandunat' a fo' blablablama pecché tutta sta gente nun vonno fa maje nietee nun stann' miez a via a parla cull'ata gentema risolveno i problemi dint' o Parlament'accunciann quacche legge co dojie o tre emendament'evidentemente -dico- evidentementedint'o mazzo a chesta gente nun c'abbrucia proprio nient'e nun c'abbrucia a polizia ogni metro miez' a viae nun c'abbrucia o senzatett' senza manco e sigarettee nun c'abbrucia o disoccupato miez a via semp 'ncazzatoe nun c'abbrucia o vecchio e nuovo proletariatosorridente e schiavizzato do' lavoro salariatoe nun c'abbruciano e criature a decine a decineca se chiavano dint' e vvene chil' e chili d'eroinaRafaniello, rafaniello,rafaniello, rafaniello,rafaniello, rafaniello, rafanie' l' l' l' l'!E mo sinceramente-dico- sinceramentesi nun t'abbrucia o mazz' nun da retta, nun fàà nient'ma fà na cosa bona e fà cuntent' a tutt' quant'assiettat' tranquillo dint' o Parlament'cuntat' e renare,magnate e tangent'e lassa o Comunismo a nuje ca ce lo sentimmo arint'ca ce sentimmo oppressi overo, e no pe finta!a nuje ca ce piace apummarola,rossa dint' erossa foraPOM POM POMMAROLA,POM POMPOMMAROLA,Tu si...Rafaniello, rafaniello,rafaniello, rafaniello,rafaniello, rafaniello, rafanie' l' l' l' l'!

rafaniello...99 posse
È una vera fortuna, per il Cavalier Bellachioma, che da tre anni e mezzo la Rai, sull'esempio di Mediaset, abbia smesso di dare notizie. Altrimenti, per esempio, si saprebbe che la Procura di Milano sta per chiedere il suo rinvio a giudizio per appropriazione indebita aggravata, falso in bilancio e frode fiscale per aver distratto 280 milioni di euro dalle casse Mediaset, ingannato gli azionisti e sottratto al fisco 124 miliardi di lire. Invece, sui principali tg, silenzio di tomba. Il tutto mentre contribuenti inferociti scrivono a Palazzo Chigi per comunicare i fantasmagorici risparmi ottenuti grazie al cosiddetto taglio delle tasse. Il signor Edgardo Piantieri di Teramo gli ha spedito un assegno circolare di 1.42 euro, con questa letterina: «Egr. Sig. pres. del Consiglio, epocale. Veramente epocale la riduzione delle tasse. Sono un dipendente della Provincia di Teramo: la busta paga di gennaio è stata “pesante”, mi sono entusiasmato a tal punto che mi veniva da piangere per l'aumento pari a Euro 1,42 (netto). Dopo essermi ripreso con un buon caffè (0.80), non sapendo come spendere o investire il resto (0.62), ho deciso di inviarLe tramite assegno circolare l'intero importo della mia riduzione delle tasse. Sono sicuro che Lei saprà come spenderli, per il bene del nostro grande Paese. Grazie. P.S. Se poi trova il tempo per rinnovare il contratto dei Pubblici dipendenti, La ringrazio». Ecco, se potessero ancora lavorare in Rai, Biagi, Santoro e Beha avrebbero invitato il signor Edgardo per raccontare i suoi formidabili risparmi. Ma ora siamo certi che Vespa, Masotti e Berti (quello di «Berti e riberti», il prozio di Vittorio Orefice) se lo strapperanno di mano per raffrontare il suo formidabile risparmio fiscale con quello del Cavalier Peluria: 760.154 euro annui, secondo i calcoli dell'Espresso.Se la Rai desse ancora le notizie, avrebbe mostrato la cerimonia di chiusura dell'ultimo tratto dell'autostrada Messina-Palermo, inaugurato in pompa magna (soprattutto pompa) alla vigilia di Natale alla presenza di Berlusconi, Cuffaro e alcuni incensurati. Motivo della chiusura: l'asfalto cede perchè, spiegano i tecnici, «è stato messo su fondo bagnato, compromettendone la stabilità». L'hanno incollato con lo sputo, per fare in fretta: Silvio e Totò volevano inaugurare almeno qualche chilometro di grandi opere (avendone promessi a migliaia) nei tempi previsti. Ma, se tutti i tg hanno mostrato l'inaugurazione, nessuno ha mostrato la chiusura. Fortuna che esistono anche i giornali, altrimenti gli automobilisti si metterebbero per la strada convinti che esista davvero. E la troverebbero chiusa. Forse Biagi, Santoro e Beha una notizia così l'avrebbero data, anche perchè le grandi opere campeggiano al punto 5 del Contratto con gl'Italiani, da cui dipende la ricandidatura del Foltocrinito alle elezioni del 2006. Si attende con ansia uno speciale Porta a Porta sul tema, con o senza scrivania di ciliegio. Titolo: «Le grandi opere, da Palermo al passante di Mestre». Passante, si fa per dire. Visti i risultati, meglio riconiugare il participio: «passato di Mestre». Se la Rai desse ancora le notizie, approfondirebbe pure l'increscioso incidente accaduto a Camilla Parker Bowles, promessa sposa di Carlo d'Inghilterra, dichiarata «indesiderata» dall'amministrazione Bush «perchè divorziata». Che accadrà quando l'amico George scoprirà che è divorziato anche Berlusconi? Non vorremmo che dichiarasse indesiderato anche lui. Ne farebbe una malattia. Come minimo, gli si guasterebbe la permanente.Ma ora, tenetevi forte: proprio nell'ultimo scorcio di legislatura, la libera informazione torna alla grande persino al Tg1 e al Tg2. È appena nata, infatti, l'associazione «Libera stampa», fondata dai vicemimun Alberto Maccari e Francesco Pionati, dal caporedattore politico del Tg1 Cesare Pucci, dai conduttori del Tg1 Attilio Romita e Susanna Petruni, nonchè dai redattori politici Ida Peritore e Angelo Polimeno, e dall'inviato del Tg2 Emilio Albertario. La sigla dell'indomito pool, che ha sede nell'ufficio di Pionati, è tutta un programma: «Li.Sta». E così la cerimonia di battesimo, in un noto ristorante romano, alla presenza del ministro Gasparri.In effetti i maligni assicurano che i Magnifici Otto sono tutti berlusconiani devoti. Romita e la Petruni hanno amorevolmente seguito Bellachioma per anni, prima della meritata promozione a conduttori. La Petruni, il 1° luglio 2003,pensò bene di non trasmettere l'imbarazzante sonoro del premier che dava del «kapò nazista» a Martin Schulz. E si guadagnò una citazione sul prestigioso "Financial Times" che, a proposito del filmato muto, commentò: «Neanche il telegiornale sovietico di Breznev avrebbe saputo far meglio». Seguì, immediata, la promozione. Prima uscita pubblica di Li.Sta: un dibattito con Storace e Bertinotti, doviziosamente ripreso dal Tg1 delle 17, delle 20 e delle 24. Il servizio, commissionato da Pucci e lanciato in studio da Romita, era firmato da Polimeno. Tutto in famiglia.

marco travaglio
comunìsmo: comunìsmo s. m., dottrina economico-sociale che, riconoscendo nella proprietà privata dei beni e dei mezzi di produzione la causa dei contrasti e delle ingiustizie che caratterizzano la società divisa in classi, perviene a teorizzare un tipo di società senza classi in cui i beni sono di proprietà collettivaorganismo politico, a livello di partito o di organizzazione statale, che conforma la propria prassi a tali principi, combattendo per l'affermazione del proletariato e per l'avvento della società comunista.
Sono stati - e sono destinati a restare - i 55 giorni più misteriosi dell’intera storia dell’Italia repubblicana. Ancora oggi, a distanza di più di vent’anni, soltanto rievocare il caso Moro vuol dire preparasi ad entrare in un ramificato tunnel di segreti e interro- gativi, di domande senza risposta e di inconfessabili trame. Il tempo che corre non solo ci allontana dalla completa verità sulla strage di via Fani, la lunga detenzione di un uomo politico di primo piano e la sua orrenda fine, ma rende tutto più complesso. Il trascorrere degli anni che sempre più ci fa apparire lontano quel tragico evento, anziché semplifi- care il quadro di insieme della vicenda, tende ad aggiungere nuovi tasselli ad un mosaico che appare ormai infinito. Aldo Moro, presidente della DC, per almeno vent’anni personaggio centrale della politica italiana, viene sequestrato da un commando delle Brigate Rosse il 16 marzo 1978, in via Fani a Roma, alla vigilia del voto parlamentare che – per la prima volta dal 1947 - sancisce l’ingresso del partito comunista nella maggioranza di governo. Per rapirlo la sua scorta, composta da cinque uomini, viene sterminata. Il gruppo armato che s’impadronisce di Moro afferma di volerlo processare, per processare tutta la Democrazia Cristiana, forse addirittura non rendendosi conto di aver gettato sulla scena politica nazionale una bomba ad
Cristiana, forse addirittura non rendendosi conto di aver gettato sulla scena politica nazionale una bomba ad alto potenziale. I 55 giorni in cui Moro sarà detenuto in un "carcere del popolo" apriranno infatti una serie di enormi contraddizioni in seno all’intera classe politica italiana, mentre i brigatisti finiranno col dimostrarsi – con i loro documenti miopi e vetusti - completamente avulsi dalla realtà storica del paese. La fine di Moro è nota: il 9 maggio 1978 Mario Moretti, capo dell’orga- nizzazione armata, lo ucciderà, "eseguendo la sentenza", così come scritto nell’ultimo comunicato delle BR. Quel colpo di pistola, con tanto di silenziatore, risulta assordante ancora oggi.

domenica 8 luglio 2007

e ricomincia la danza...

giaci su di me
i nostri corpi si unifikano
e continua la danza,
elegante,leggiadra,magnifika.
mi accarezzi cn le mani calde e soavi
facendo di me uno dei tuoi amori + signifikativi.
insidi le tue mani d'apperttutto
facendo salire in me la voglia di averti vicino.
le mie labbra accarezzano le tue.
il tuo piacere si miskia la mio,facendo dimenticare tutto ciò ke ci circonda.
la mattina dopo aver finito quella magnifika danza
ed io accendo la mia rituale sigaretta mi guardi,mi scruti e dici"quando fumi riesci a trasmettere un'infinita voglia di trasgressione"
e così rikomincia la danza!!!


bianca taglione
dopo un botto di tempo io e kiara ci stiamo rifrequentando,sn al settimo cielo x questo...mi auguro ke la nostra amicizia nn finisca mai!!!coltbianca,in poke parole mushma ninja combà
sii il tuo migliore amiko.
sii in pace cn te stesso.
rispetta i tuoi principi.
accogli il nuovo giorno cn amore fiducia e pace.
guarda i tuoi fantasmi dritto in faccia,dritto negli okki.
decidi che d'ora in poi agirai solo x scelta e nn + x obbligo e x debbolezza.
sei tu il padrone del tuo tempo e puoi farne tutto ciò ke vuoi in tutta libertà.
impara a dire no + spesso.
impara ad apprezzare il silenzio.
da a te stesso prima di dare agli altri,così avrai + cose da dare.
sta zitto!!!ritrova la tua calma interiore e la tua saggezza profonda.
talvolta la verutà nn porta alla rassegnata passività,ma a cambiamenti radikali e salutari del proprio modo di vedere i sentimenti.
fa in modo ke i tuoi pensieri ti liberino e nn il contrario.
se nella tua mente tutto diventa complikato,è ora di fermarsi.
azzera tutto fa prsto.
nn critikare mai il tuo amore fino al punto di ferirlo.
nn fare del male inutilmente,nn perdere un secondo pensando a i tuoi nemici.
voglio fare con te ciò che la primavera fa con i ciliegi

pablo neruda